La tomba del tuffatore
La tomba del tuffatore
Nicola Bottiglieri
Collana: Mediterranea
Pagine: 160
Traduzione:
Cura:
Riscritture di miti greci ambientati nel golfo di Salerno! Cinque bellissimi racconti di Nicola Bottiglieri!
*
IL TUFFO
Il suono della parola tuffo rende molto bene il senso dell’azione che stiamo facendo. La t ricorda la terra, il trampolino di partenza, le due effe trasmettono il rumore dell’entrata veloce in acqua, la rotondità della o il senso di vuoto abissale che il mare trasmette. In una sola traiettoria sono riuniti tre elementi naturali, terra, aria, acqua, perciò fare un tuffo significa attraversare frontiere, perdersi nel mare del tempo.
Già i greci di Paestum 2500 anni fa misero la pittura dell’uomo che si tuffa all’interno della parete di una tomba, la “Tomba del tuffatore” visibile proprio nel Museo Archeologico di Paestum. Il tuffo voleva sintetizzare cosa era stata la vita di quell’uomo, un veloce passaggio da un mondo conosciuto, la terra, ad uno sconosciuto, il mare. Fra la terra ed il mare c’é l’aria, l’unico spazio dove l’uomo, per pochi istanti, è simile ad un uccello. Nel momento in cui l’uomo non ha più i piedi per terra e comincia a cadere, solo in quel momento egli può trasformare la sua caduta in un gesto esemplare, cioè in arte. Poi la caduta sarà irreversibile, ingoiato dalla profondità del mare. Solo l’arte può dare ebbrezza alla vita, solo la vertigine della caduta può dare vitalità all’arte.
A rendere ancora più affascinante riflettere sul significato del tuffo vi è l’esempio che appare spesso nella letteratura dei mistici: l’esperienza del mistico, essi dicono, è simile a quella di un uomo che in pieno oceano si tuffa nudo, senza saper nuotare.
Se camminare sull’acqua con la nave, significa affermare la potenza dell’uomo, vincere la morte, tuffarsi dalla nave in pieno oceano, significa abbandonarsi a Dio, dialogare disperatamente con l’al di là. Nell’esperienza mistica l’oceano è Dio, il tuffo è il violento passaggio di stati diversi, il pensiero è il mezzo per conoscere l’oceano. Come si vede, quello del mistico è un tuffo violento, verticale, dove non ci sono maestri, perché ogni uomo deve essere maestro di se stesso, ognuno deve essere guida ai propri pensieri. Quando si è in acqua si hanno due possibilità: o si muore nella disperazione o si impara subito a frequentare l’infinito, cioè Dio.
Infine c’è un terzo, drammatico, esempio per sottolineare l’equivalenza fra il tuffo e la feroce nostalgia della vita. Nell’Argentina dei generali, ogni giovedì pomeriggio un aereo si alzava in volo e buttava nell’oceano i corpi dei desaparecidos, facendo fare ad essi un terribile tuffo. Le piroette fatte nell’aria, in questo caso, non erano una forma d’arte, ma un immenso gorgo di vita. I corpi di quelle persone graffiavano l’aria, scavavano cunicoli nell’oceano, ancora oggi mai riempiti.
Fino ad ora abbiamo visto che il passaggio veloce dal trampolino all’acqua, ricorda la morte, o almeno una esperienza con l’infinito, ma c’è un altro tipo di tuffo che non richiama la morte bensì la vita. È il tuffo al contrario, il tuffo capovolto, come se ognuno di noi uscisse di corsa dall’acqua, scavalcasse l’aria in fretta e si mettesse sul trampolino della terra. Questo tipo di tuffo lo facciamo con la nostra venuta al mondo. La nascita può essere vista come un vero e proprio tuffo al contrario. Questa volta il passaggio non è dalla terra all’acqua, ma dall’acqua alla terra, dalle calde acque amniotiche della madre alle mani della levatrice che, ancora una volta, ti mette a testa in giù, facendoti fare qualche capriola nell’aria, poi ti avvolge in un lenzuolo di cotone.
I tipi di tuffi ricordati, quello che va dalla terra all’acqua e quello che va dall’acqua alla terra, sono completamente diversi ma hanno in comune l’acqua, l’elemento dove l’uomo muore ma anche dove rinasce. Uscire dall’acqua, salire sul trampolino, tuffarsi e ritornare nell’acqua, quindi, significa descrivere un ciclo vitale. Un ciclo in cui l’acqua è l’elemento della trasformazione, della vita e della morte insieme. Morire nell’acqua, perciò significa anche rinascere, e rinascere significa tuffarsi di nuovo nel mare senza confini. Tuffarsi e uscire dall’acqua sono gesti che facciamo tutti i giorni, ma come sappiamo non sono né semplici né innocui.
Chi ha scritto belle parole sul rapporto fra tuffo e letteratura è lo scrittore napoletano Raffaele La Capria, il quale ha paragonato un libro ben scritto al tuffo riuscito: “Il tuffo, diversamente da un racconto o un romanzo, una volta fatto scompare. Tutto avviene molto rapidamente, è un attimo di bellezza in cui giocano come s’è visto diversi fattori,
e che lascia solo una labile traccia nella memoria. Questo senso di effimero è molto simile all’attimo fuggente che talvolta cogliamo nella vita. La letteratura si propone invece di durare, vuole riscattare la vita dalla sua fugacità, fermare l’attimo fuggente” (Letteratura e salti mortali). Se la vita è un tuffo effimero, l’arte cerca di far durare nel tempo quell’attimo fuggente che è la vita di tutti noi. C’è un solo modo per sottrarsi alla dolce tristezza di questi pensieri: buttarsi dal parapetto della terrazza dell’infinito a Villa Cimbrone a Ravello usando il deltaplano della fantasia (sul quale deve essere dipinto il disegno della “Tomba del tuffatore”) e, invece di cadere, fermarsi nell’aria, girare, salire e
scendere per il cielo, andare oltre le nuvole, oltre la ragione e in questo volo rapace dimenticare il mare. Questo sarebbe un gesto felice, con una unica precauzione: non avvicinarsi troppo al sole, altrimenti si fa la fi ne di Icaro che si bruciò le ali per aver volato troppo in alto e fece il più lungo tuffo, la più disperata caduta che la fantasia possa immaginare: una caduta lunga quanto è la distanza fra la terra ed il sole, una caduta lunga quanti sono gli intrecci che le parole del vocabolario possono combinare tra loro.